Osservare le api muoversi assieme su un prato in tarda primavera è come assistere ad uno spettacolo di danza.
Armoniosi quasi ipnotici volteggi seguiti da pause, lunghe il necessario, su capolini di fiori, foglie e fusti d’albero, piccoli specchi d’acqua.
Alternanza incessante dal primo sole del mattino a poco prima del tramonto, mentre il calore della bella stagione sprigiona le essenze aromatiche della zona.
In questo movimento avviene uno scambio equilibrato tra le api dell’alveare e la circostante natura.
Dalla natura vengono prese le sostanze utili a produrre il miele, la pappa reale, propoli e cera. Alla natura già la sola distribuzione di polline (impollinazione entomofila) in modo non casuale è parte di ciò che l’ape da in cambio, contribuendo a mantenere in equilibrio l’ecosistema ..la casa della salute.
Sovente viene detto che le api sono le principali responsabili dell’impollinazione delle piante, azione fondamentale attraverso cui si perpetua la vita sul pianeta Terra.
La frase apocrifa di Albert Einstein secondo cui la vita sul pianeta cesserebbe di esistere entro 3 anni dalla scomparsa delle api non è assolutamente priva di fondamento soprattutto se consideriamo con il termine ape non solo apis mellifica, la nostra “ape domestica” produttrice di miele, ma tutta la superfamiglia cui appartiene (apoidea).
Apoidea comprende diversi generi di api come la Megachile rotundata, in Canada fondamentale per le colture di leguminose e in special modo per i campi di erba medica, i bombi, che escono in volo anche quando fa freddo e che per la “vibrante” modalità di alimentazione e la lunga lingua sono in grado di prelevare polline da fiori con calice lungo o da fiori le cui antere necessitano di essere “scosse” (pomodoro, more, lamponi), le solitarie osmie, che vivono anche in montagna e in climi freddi, oltreché le numerose e poco note specie di api selvatiche. Una grande biodiversità di generi e specie da cui dipende quasi l’80% dell’impollinazione fatta dagli insetti.
E’ ormai raro trovare un alveare in natura, costruito non all’interno di razionali e squadrate cassette di legno ma nell’incavo di un albero o appeso ai suoi rami, ed è impossibile non rimanere stupiti dalla sua vera forma: un cuore umano.
Non un cuore stilizzato da fumetto, ma un vero e proprio cuore anatomico.
Intensa e laboriosa collaborazione, come un’orchestra perfettamente accordata, l’alveare è qualcosa di più della casa delle api, nel suo insieme è un essere coerente e determinato.
In una recente ricerca viene stimato che sommando la sostanza nervosa di tutte le api di un alveare, per peso questa non differisca da quella del cervello di un uomo.
In questo dato scientifico mi risuona eco delle conferenze di R. Steiner del 1923.
In quel ciclo di conferenze, raccolto nel libro Le Api (ed. Antroposofica Milano) Steiner suggeriva di considerare l’alveare un tutt’uno con le api, con caratteristiche di individualità uniche nel regno animale ed equiparabili a quelle dell’uomo.
La forza del pensiero di un individuo compenetrandone il cuore; metaforicamente nell’alveare si realizza quel famoso pensare con il cuore meta di molte tradizioni filosofiche e spirituali ovvero l’incontro tra la corrente dei Magi e quella dei Pastori..
L’apicoltura moderna nasce con il ‘900, in quegli anni si inizia a parlare di arnia razionale, una cassetta di legno con telaietti di cera facile da costruire, controllare, pulire e trasportare.
Il cuore dell’alveare viene così messo in scatola.
Un’arnia può contenere anche 40’000 api, prendete 5 alveari e avrete la popolazione del comune di Trieste!
Di queste circa un quarto hanno la mansione di esplorare i 7 km quadrati attorno all’alveare per raccogliere nettare, polline, propoli e melassa. Ognuna delle 10’000 api bottinatrici/impollinatrici si allontana dall’alveare anche di 13 km effettuando ogni giorno più di dieci viaggi a/r visitando, per esempio, un centinaio di fiori di melo ad ogni viaggio.
Una volta che lo stomaco è pieno di nettare o melata l’ape può tornare all’alveare, superare il controllo all’entrata e deporre il raccolto che passando di ape in ape continua la sua trasformazione in miele.
Durante il viaggio di raccolta, l’ape bottinatrice può fermarsi presso fonti d’acqua naturali o create dall’uomo per abbeverarsi.
Inoltre il corpo di questa ammirevole creatura è coperto da una fine peluria, nella quale possono rimanere imprigionate particelle disperse nell’aria, altrimenti difficili da campionare e analizzare.
Comprendiamo quindi che l’ape entra in contatto con tutti gli elementi del territorio: l’acqua delle fonti, l’aria attraverso cui vola, la terra tramite le piante, il calore del sole; di questo contatto poi porta memoria in se e all’alveare.
Per questo motivo, fin dai primi decenni del 900, entomologi e altri ricercatori hanno iniziato a considerarla un prezioso e sensibile alleato per comprendere la qualità dell’ambiente.
Per esempio, analizzando i prodotti dell’ape, nel 1962 (J. Svodoba e coll.) venne riscontrato un sensibile aumento di composti radioattivi nell’atmosfera dovuto all’intensificarsi degli esperimenti atomici.
La capacità dell’ape di mostrarci lo stato di salute dell’ambiente è stata valorizzata in Italia dal gruppo di ricercatori del prof. Giorgio Celli, scomparso l’anno scorso.
Il gruppo di Celli (Istituto di Entomologia dell’Università di Bologna) si occupa da 40 anni di api e bioindicatori e mentre preparavo un intervento per l’ISDE (International Society of Doctors for Environment http://www.isde.org/ ) ho potuto consultare alcuni delle loro pubblicazioni oltre a quelle di altri studiosi come Bogdanov o Porrini.
Da questa lettura emerge con chiarezza quale elevata sensibilità abbiano le api verso i contaminanti ambientali (piombo, alluminio, mercurio, pesticidi e insetticidi d’ogni generazione, antibiotici…), quanto ne possono soffrire e morire (colony colapse disorder ovvero la popolazione italiana di api dimezzata nel 2008 in seguito all’effetto diretto e indiretto dell’uso di alcuni “nuovi” insetticidi, dati ufficiali EFSA) e infine, controllando i valori dei contaminanti nel miele, le dimensioni del sacrificio dell’ape.
Sorprendentemente il miele è e rimane uno dei prodotti più salubri anche quando viene raccolto in ambienti contaminati.
Infatti, a dispetto di livelli insalubri di contaminazione ambientale, nel miele i residui restano quasi sempre al di sotto della soglia di sicurezza (limite massimo di residuo < 0,1 mg/kg) e questo è possibile perché nel processo di trasformazione del nettare l’ape funziona come un filtro biologico in grado di sottrarre le sostanze tossiche trattenendole nel suo corpo.
L’ape sacrifica la sua vita per produrre miele e la pappa reale di qualità. Certo se tutta la produzione agricola fosse di tipo biologico questo sacrificio sarebbe meno necessario.
Al di là di ciò che è ritenuto il bene o il male, possiamo osservare acriticamente due modalità di rapportarsi con l’ambiente esterno (l’altro) e quello interno (il sé).
La modalità dell’ape è caratterizzata da uno scambio equilibrato ed equilibratore, in un continuum tra dare e avere che preserva e mantiene il benessere ambientale e dell’alveare. In questo rapporto la natura è alleata e non viene depredata; un rapporto responsabile tra l’individuo alveare e ciò che lo circonda, quei 7 km quadrati.
L’altra modalità prevede un rapporto con l’ambiente finalizzato esclusivamente alla produzione forzata di risorse private; l’ambiente in questo tipo di relazione non è partner ma contenitore ..scatola razionalizzata, da riempire a inizio processo per poi svuotarla completamente al momento del raccolto.
Gli effetti delle azioni di riempimento vengono valutati solo in uno stretto presente, pochi di fatto sono gli studi su effetti tossici da accumulo nel lungo periodo per antiparassitari, fungicidi, antibiotici etc.. .
I prodotti vengo versati nella scatola, lontano dagli occhi ..lontano dal cuore. Questa però non è chiusa ermeticamente.
Al di là di irrealistiche pretese di coesistenza, il territorio non conosce confini invalicabili e le api frequentandolo inevitabilmente s’indeboliscono e, in fine, muoiono. Alla lunga, anche noi, che dovremmo essere in grado di prenderci cura di almeno 7 km quadrati e invece indirettamente ne deprediamo molti di più, ci indeboliamo e il nostro destino segue quello delle api.
Bibliografia
Honey bees as bioindicators of environmental pollution, di Giorgio CELLI, Bettina MACCAGNANI, Bulletin of Insectology 56 (1): 137-139, 2003
In memory of Giorgio Celli (1935 – 2011), Bulletin of Insectology 64 (2): 279-287, 2011
Contaminants of bee products di Stefan Bogdanov, Apidologie 37 (2006) 1–18
Honey bees and bee products as monitors of the enviromental contamination, di C. Porrini et al., APIACTA 38 (2003) 63-70
ASPECTS OF BEE BIODIVERSITY, CROP POLLINATION, AND CONSERVATION IN CANADA, di K.W. Richards and P.G. Kevan (2002)
Bees and Pesticides, di Róbert Chlebo, Slovak Agricultural University in Nitra, Slovakia
East learns from West: Asiatic Honeybees can understand dance language of European Honeybees (review), di Songkun Su, Fang Cai, Shenglu Chen (Cina), Jurgen Tautz (Germania), Shaowu Zhang (Australia).
Bioindicatori Ambientali, a cura di Francesco Sartori per Fondazione Lombardia per l’Ambiente
Nosema + insetticidi sistemici = cocktail letale per le api, di F. Panella e M. Valleri, pubblicato su mieliditalia
Le Api, di R. Steiner, ed. Antroposofica Milano (1923)
Se fossi una pecora verrei abbattuta? Di L. Cori (ed. Scienza express)
Stop glifosato, un milione di firme per bandirlo
“Quest’anno – spiega Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura sostenibile di Greenpeace Italia – abbiamo finalmente l’opportunità di togliere il glifosato dai nostri campi e dai nostri piatti. Sono sempre di più i corsi d’acqua in Italia e in Europa contaminati con questo diserbante, classificato come “probabile cancerogeno” dallo IARC. Si trovano tracce nel cibo, nelle bevande e persino nelle urine. Il messaggio alla Commissione Ue e ai Paesi membri è chiaro: l’interesse e la salute delle persone devono venire prima dei profitti delle aziende agrochimiche”. (fonte: Rinnovabili.it )