Il ruolo del veterinario nel terzo millennio
Correnti planetarie, molto più grandi delle scelte di un singolo individuo, organizzano e come pastori muovono, nel tempo e negli spazi, le moltitudini. Le distanze nella relazione tra animale e uomo, uomo e natura, variano e mutano, diffondono, si allontanano, si avvicinano, e con esse cambiano le qualità del rapporto di epoca in epoca. Ed è percepibile solo guardando, osservando gli effetti nel continuum temporale. La velocità dei cambiamenti non è costante, a volte occorrono secoli se non millenni, altre volte in pochi anni tutto muta. Ma non c’è staticità, la vita è dynamis e ogni epoca contiene in sé i semi della successiva, già germinanti.
L’animale che vive fuori
Italia rurale, risorgimentale, agricola, vita in campagna, coltivatori, allevamenti familiari. Mercati locali, il contadino e la sua famiglia, animali da cortile, animali al pascolo, fonte di nutrimento. Coltivare la terra e viverne circondati mentre gli animali, tenuti fuori dalla casa, permettono il sostentamento della famiglia e della terra su cui vivono.
Quanto non consumato viene scambiato, venduto e genera piccoli guadagni.
Le stagioni l’una nell’altra si susseguono, vivono vestite di terra, odori, colori, sensazioni, sapori, umidità, calore, vento, profumi, foglie. L’animale è mantenuto fuori, rispettato e riconosciuto dall’uomo. La vacca, il cavallo, le pecore, la gallina, il coniglio o l’ape, collaborano, cooperano per la salute della famiglia. L’animale non coabita la casa ma con il suo vivere si prende cura del corpo fisico e del corpo eterico dell’umanità: nutre, riscalda, copre.
Allontanamento
Questa realtà ormai vive solo nella memoria condivisa ma remota dei nonni di coloro che sono nati negli anni ’70; la mia generazione è probabilmente l’ultima ad aver avuto un assaggio del contatto originario e genuino con quel modo di rapportarsi alla natura. Un contatto per lo più indiretto, vivente nei racconti tramandati da nonni a genitori.
Già 40 anni fa il contatto con la natura venne confinato in specifici contenitori esperienziali come le occasionali gite fuori-porta, gli zoo e, sempre più, vissuto attraverso i documentari televisivi.
La natura e gli animali in particolare uscirono dalla quotidianità entrando in scatole, sia immaginativamente che realmente.
L’inizio di questa separazione tra uomo e natura, fase necessaria e preparatoria ad un nuovo modo di avvicinamento, ebbe rapido inizio e subitaneo acme negli anni ’50.
In tempi brevissimi, dopo secoli di consuetudini, il latte nell’immaginario comune passò dall’essere munto a mano e portato di casa in casa in grosse taniche di latta al “nascere” nel tetrapak sullo scaffale di un supermercato.
Nuovo miracolo italiano, il boom economico degli anni ’50, trasformazione rapida e dolorosa della nostra società da campagnola e rurale, praticamente invariata dal risorgimento al primo dopo guerra, passò ad essere spiccatamente industriale .. in tutti i campi, agricoltura inclusa.
Il sistema di allevamento intensivo degli animali, in stalle via via più tecnologiche, ha una storia ben più breve di quanto si possa pensare. E’ ritenuto che il precursore della zootecnia sia stato il grande microbiologo e scienziato francese L. Pasteur nella seconda metà del 1800. Sempre per merito di Pasteur anche la veterinaria ha acquisito un ruolo fondamentale e specializzato nella cura degli “animali produttori di alimenti”.
Prendersi cura dell’animale
I semi germinanti della medicina veterinaria, forse nacquero, in un’epoca molto lontana al momento del primo incontro (o prima separazione) tra uomo e animale e furono l’espressione dell’impulso di prendersi cura di un altro essere vivente.
Fu un impulso del cuore nato nell’infanzia dell’umanità; così come fu per me.
Alla spinta del cuore seguì la necessità della conoscenza (intelletto) per prendere materialmente contatto e poter agire nel corpo fisico ed eterico dell’animale con finalità curativa.
Incontrai una lucertola. L’estate era finita ma ancora il tempore del sole scaldava le mie piccole mani. Il cappottino da mezza stagione intralciava i movimenti mentre cercavo di raccogliere, strappare, fili d’erba e foglie di piante aromatiche per farne un piccolo letto taumaturgico. La lucertola respirava faticosamente ed erano evidenti alcuni squarci sul suo corpo provocati dal gatto. La coda non c’era più. Avevo 3 anni e già sapevo che la coda avrebbe potuto ricrescere e che nella natura doveva esserci la cura per sanare la lucertola.. se solo avessi saputo cosa fare. Quello fu il giorno in cui per la prima volta pensai che volevo prendermi cura degli animali. Passarono gli anni e un bel giorno il termine veterinario si inserì nel mio vocabolario personale, era il principio degli anni ottanta, nella mia città esisteva da poco un ambulatorio.
Breve storia della medicina veterinaria dalla civiltà rurale a oggi.
Il veterinario, così come è conosciuto oggi è una figura professionale abbastanza recente. La prima scuola per la formazione didattica dei veterinari venne istituita a Lione nel 1762; poco dopo anche in Italia comparvero le Scuole di Veterinaria a Padova (1765), Torino, Parma, Bologna, Ferrara, Modena, Milano e infine Napoli (1795).
Fino alla metà del 1800, l’interesse dei veterinari era quasi totalmente indirizzato ai cavalli, guerra o privilegio di pochi, e alla falconeria (caccia). Cavalieri e falconieri, clienti esclusivi per una professione in origine elitaria.
Dalla metà del 1800 iniziò a svilupparsi il ruolo del veterinario nel controllo degli alimenti di origine animale, soprattutto in seguito alle scoperte delle malattie trasmissibili da animale ad uomo (parassitosi, tubercolosi, rabbia), nel frattempo le pratiche di allevamento iniziarono a mutare verso sistemi a maggior produzione ed organizzazione razionale.. ma ancora non si parlava di “animali da reddito”.
Negli anni 50 del 1900, grazie a tutta una serie di fattori ideologici, economici e quindi politici, la nostra nazione subisce un rapidissimo cambiamento. La popolazione dalle campagne si trasferisce nelle città, l’agricoltura perde manodopera e aumenta l’occupazione nelle fabbriche.
La presenza umana si rarefà nelle campagne e di conseguenza l’esperienza della natura passa da essere di prima a seconda mano. L’animale diviene, suo malgrado a causa di una visione utilitaristica e irreale, “macchina da produzione di beni” e quindi animale da reddito. Le scuole veterinarie formano professionisti in grado di prendersi cura di questo reddito, la figura del veterinario si lega principalmente al comparto delle produzioni animali (il veterinario di stalla) e a quello del controllo degli alimenti di origine animale (il veterinario ispettore), c’è meno tempo per il gioco e le guerre non si conducono più a cavallo, gli animali da compagnia sono un lusso per pochi e anche l’idea che un animale possa avere una funzione di compagno è ancora poco più di un seme germinante.
Il contatto umano con il mondo animale diviene labile, aumentano le distanze e nell’immaginario comune l’animale perde la funzione di essere utile a nutrire. L’entità animale viene scissa in produttore e prodotto, come se la fettina di carne di bovino fosse altro rispetto alla bovino vivo e pascolante o la coscia di pollo, serialmente raccolta in contenitori di polistirolo, non avesse nulla a che fare con la gallina o il gallo.
Questo movimento di allontanamento degli anni ’50 produce una perdita e la necessità, nonché la possibilità, che venga colmata con nuove forme di relazione uomo-animale. In realtà il nutrimento inteso come scambio biunivoco tra animale e uomo non viene mai meno, dal momento del loro primo incontro ad oggi. Nutrimento inteso come scambio di cuore, emozioni, asimmetrica compensazione astrale.
La differenza, che in questa epoca inizia a manifestarsi, è nella consapevolezza di questo collegamento. Ma procediamo con il racconto storico. Nell’epoca, lunghissima, della civiltà rurale nella coscienza individuale dell’uomo è ben chiara la consapevolezza del sostegno fisico e materiale ricevuto dall’animale, non esiste la dicotomia prodotto e produttore, mentre non c’è coscienza, salvo in pochi illuminati precursori, sul legame emotivo e su suoi effetti reali nella quotidianità. Tutto invariato fino alla metà del ‘900, dopoguerra/ epoca della ricostruzione e del boom economico. Da quel momento viene perso il contatto con la natura e minato a livello immaginativo, per la maggior parte della popolazione, il rapporto di dipendenza per il sostentamento dell’uomo tramite il sacrificio dell’animale.
L’allontanamento spaziale produce però nei trent’anni successivi la nascita del desiderio di riavvicinare gli aspetti animali al vivere quotidiano. Un bisogno animico, non palesato pubblicamente, che porta al rientro degli animali nella quotidianità umana. In particolare le specie considerate domestiche e da compagnia.
Storicamente dagli anni settanta inizia a diffondersi il petfood, ovvero i cibi in scatola per cani e gatti, e nel decennio successivo iniziano a comparire in ogni città studi e ambulatori veterinari dove i professionisti si occupano anche della salute degli animali da compagnia. Il tutto con numerosi “però” che costituiscono oggetto di sfida ai nostri giorni.
Mentre sale il numero di animali accolti in casa, il comparto produttivo zootecnico si avvia verso una crisi definitiva, gli allevamenti chiudono e le possibilità lavorative dei veterinari in questo settore calano drammaticamente; siamo al principio degli anni ’90 e sono in procinto di iscrivermi alla facoltà di medicina veterinaria.
Primo giorno di lezione, l’aula magna della facoltà riempita da circa150 giovani aspiranti veterinari, il professore di anatomia ci scruta con i suoi occhi azzurri e raggela la platea con due semplici frasi “Chi è venuto in questa facoltà solo perché ama gli animali, sappia che qui questo amore non serve a farvi diventare veterinari. Dei 130 che siete solo un terzo di voi completerà il biennio.”
E aveva in gran parte ragione. Il corso di laurea in medicina veterinaria era in quegli anni indirizzato a preparare professionisti adatti a lavorare con gli animali da reddito oppure controllare gli alimenti da questi prodotti, in maniera decisamente minore la preparazione era dedicata a prendersi cura degli animali da compagnia e persisteva ancora una certa nostalgica attenzione verso il mondo dei cavalli. Questa impostazione aveva e, sostanzialmente, ha una motivazione storica: in principio i veterinari si occupavano di cavalli poi, specialmente con l’industrializzazione di agricoltura e allevamento, di animali da reddito. Nella formazione erano evidentemente rimasti ai bisogni degli anni ’50. La rivoluzione sociale degli animali da compagnia non era (e non è) stata ancora compresa.
Diventare veterinario
Per studiare una qualsiasi cosa è sempre necessario portarla fuori di sé, osservarla, conoscerla e quindi reintegrarla in sé. Nello specifico dello studio veterinario, durante il corso di laurea, l’animale è scomposto in numerosi distinti campi di studio. Sebbene gli ordinamenti e i piani di studio cambiano frequentemente, la sostanza resta invariata e uno studente di veterinaria, per laurearsi, deve sottoporsi almeno ad una cinquantina di interrogatori.. valutazioni. Questi esami vertono su numerosissime materie che coprono campi anche distanti tra loro, dalla chimica inorganica alla legislazione, dalla botanica alla statistica, passando ovviamente per anatomia, fisiologia, patologia, medicina interna, alimentazione, malattie infettive, parassitarie, immunologia, microbiologia, farmacologia, tossicologia etc..
Ricordo ancora quando, prima di iscrivermi alla facoltà, consultando il libro delle facoltà dell’Università di Pisa, notai che l’elenco delle materie di esame del corso di laurea in Medicina Veterinaria era il più lungo di tutti, e non di poco!
Idealmente, con lacrime sangue e sudore, tutte le materie affrontate devono imprimersi a forza nei solchi cerebrali dello studente, cambiandone il modo di ragionare, una vera e propria trasformazione intellettuale. Nella nostra epoca in cui abbondano i laureati su facebook.. questo aspetto del soffrire per apprendere viene dimenticato con molta faciloneria.
Le facoltà di Medicina veterinaria si occupano di fornire gli strumenti teorici e pratici per la cura del corpo fisico, del corpo eterico e del corpo vitale degli animali. La parte animica, il corpo astrale (sto semplificando) non sono argomenti di studio e nemmeno la relazione tra queste parti animali e le nostre corrispondenti parti costitutive. Come disse il mio professore di anatomia, non è l’amore argomento di insegnamento previsto dal piano di studi.
Una prima contraddizione. Generalmente solo un grande amore per gli animali può spingere e sostenere un ragazzo a sottoporsi al quinquennio di studi veterinari, durante il percorso però questo impulso, questo motore primigenio, non viene mai valorizzato e non può prendere corpo.
Chi sopravvive e arriva alla laurea si ritrova spesso con una scissione in sé, da una parte il portatore dell’impulso d’amore per gli animali (esperienza comune a tutti quegli adulti che incontrati negli anni, accompagnando i loro animali, m’hanno detto “sa dottore, da piccolo anch’io sognavo di diventare veterinario”) e dall’altra l’adulto titolato ed edotto tramite lo studio della materia, orientato a pensiero (diagnosi) e azione (terapia/chirurgia).
La preparazione è prevalentemente orientata all’animale da reddito, i tempi sono però cambiati e animali, considerati minoritari in ambito accademico perché non produttori di alimenti o fornitori di servizi (caccia, guardia), sono divenuti il principale argomento di interesse della professione veterinaria.
Purtroppo il veterinario è preparato, anche nella formazione post laurea, e focalizzato a considerare l’animale come un’insieme di parti, non necessariamente in relazione tra loro, appartenenti ad un oggetto di studio, spesso privato anche di una dinamica temporale.
Evoluzione animale e umana
Nel frattempo però l’umanità si appresta, dopo essersi dedicata per lo più inconsciamente al proprio corpo materiale, ad affrontare le sfide della trasformazione, purificazione ed integrazione delle proprie emozioni.
Questa grande opera di crescita personale avviene con il sostegno dell’animale da compagnia.
Il mondo animale dopo essere temporaneamente uscito di scena, scomparendo dall’esperienza quotidiana e relegato in contenitori razionali (allevamento intensivo, televisione), ritorna con un nuovo compito. Questa volta non si ferma sulla soglia della casa del fattore, ma viene posto in contatto profondo entrando, benvenuto e benvoluto, nell’intimità dello spazio prossemico dell’uomo come mai fu consentito ad altro essere umano.
La perdita del ruolo di “fornitore di nutrimento”, per l’animale, è evidente anche dalla grande crescita e sostegno dei movimenti vegetariani e vegani nell’ultimo decennio.
Il veterinario del Terzo millennio
Per prendersi cura del compagno animale di un essere umano, il veterinario volente o nolente entra nello spazio intimo dell’altro. Che si sappia nuotare o meno, cadendo nel mare in tempesta, comunque si finirà bagnati.
Il veterinario occupandosi di questi animali inevitabilmente si “bagna” nel mare di emozioni umane che la persona “porta in visita” con il suo animale. E’ una pressione molto forte e incessante. L’essere umano che sceglie di farsi accompagnare per parte del suo percorso di vita da uno o più animali, attraverso di essi si rapporta con il suo mondo emotivo.
Io stesso sperimento con i miei animali questo tipo di contatto e nel primo approccio con l’animale, il paziente, di un altro essere umano, il me stesso che metto in gioco non è il veterinario ma piuttosto il mio bambino interiore (si .. proprio quello con cappottino e sincera meraviglia).
Il titolo, le sovrastrutture e le maschere, l’animale le trapassa in un batter di coda, ai suoi occhi è chiaro l’essenziale della persona, nel qui e ora.
E’ bene saper nuotare o per lo meno imparare a galleggiare in questo mare di emozioni perché prima o poi un veterinario ci cade dentro.. e possono essere traumi e dolori. L’accompagnatore umano dal canto suo vive il disagio emotivo per il problema del suo animale, sommato ad una serie di emozioni alcune delle quali sono proiezioni, richiamate dalla sofferenza dell’animale, altre invece, disfunzionalmente attive, appartengono alla sua biografia e alla sua eredità familiare.
Il medico veterinario con una formazione limitata all’ambito accademico di provenienza, che comunque condiziona anche gli ulteriori approfondimenti post laurea, si trova a dover fronteggiare ogni giorno e più volte al giorno questa tormenta.
Gli effetti che ne deriveranno sono espressione di meccanismi di sopravvivenza. Ci sarà il veterinario che abbandona la professione e cerca altro cui dedicarsi, quello che si barrica nel razionalismo scientifico o si ammanta di cinismo, quello che abbraccia gli aspetti commerciali della professione, quello che ad un certo punto abbandona l’animale per dedicarsi solo alle persone o anche quello che, rendendosi conto di dove risiede il problema, cerca di acquisire strumenti di gestione del sé e delle emozioni del cliente attraverso studi specifici in campo umanistico e quotidiana pratica.
Questo ultimo tipo di veterinario è quello che non tradisce il bambino interiore, si adopera nel rispettare la missione affidatagli dai mondi Spirituali e crea in sé l’unione tra conoscenza e cuore perché sia manifesta esteriormente. Il veterinario del terzo millennio è spiccatamente mercuriale nel suo agire. Crea e sostiene un ponte sano di relazione tra animale e uomo, si prende cura della salute animale a 360° e della salute della relazione con l’umano aiutando quest’ultimo a comprendere il messaggio del suo animale e a trovare il modo per darne corpo, azione. Il veterinario del terzo millennio è olistico sia per adesione razionale ma ancor più per pratica e sperimentazione vivente e vissuta. Non dimentica né tralascia di nutrire l’intelletto, attraverso cui può valutare la salute fisica e psicologica dell’animale e la salute della relazione, al contempo non si dimentica di sé, di quello che è stato (il bambino) e della persona che è diventata. La laurea è necessaria ma non basta.
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